martedì 31 maggio 2016

Perché indebitarsi? Ho costruito la mia Casa con 180 euro. Guarda le Foto


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Mutui, affitti, prestiti, conti in banca prosciugati..il tutto per cosa? Avere un tetto sopra le spalle, un posto dove dormire tranquillamente. Si sa che per avere una Casa propria ci vogliono Sacrificio e Denaro…tanto Denaro!
Michael Buck, un inglese di 59 anni, non è della stessa opinione ed ha dimostrato che per costruire una  Casa non c’è bisogno di avere tanti soldi o indebitarsi fino al collo con banche o altro. Quest’uomo è riuscito a costruire una casa soltanto con 150 sterline, più o meno 180 euro.
Vi starete chiedendo: ma come ha fatto a costruire un’intera casa con così pochi spiccioli? Avrà rubato? Sarà il solito parente di un politico italiano?
Il signor Buck è un ex insegnante d’arte, ha così sfruttato la sua originalità e creatività utilizzando soltanto materiale trovato nei cassonetti e prodotti donati da Madre Natura senza alcun costo. Per riuscire nel progetto l’uomo ha utilizzato una tecnica di costruzione molto antica, ormai quasi dimenticata.
La Cob House (che tradotto letteralmente vuol dire “casa pannocchia”, è in realtà un termine usato in Inghilterra per le case costruite con materiali naturali) si trova nel giardino del signor Buck in una campagna dell’Oxfordshire ed è già stata affittata. L’attuale inquilino è un operaio di una fattoria li vicino e paga l’affitto con il latte.
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La casa è fatta anche di scarti trovati nella spazzatura.
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Per creare molte delle finestre della casa sono state usate delle assi del pavimento abbandonate, e il parabrezza preso da un vecchio autocarro.
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Pur non avendo l’elettricità la casa ha comunque l’acqua corrente grazie ad una sorgente vicina, le pareti sono tinte con del gesso e una resina vegetale.
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Il letto a castello per ottimizzare lo spazio.
Il metodo usato per la costruzione è antichissimo, risale alla Preistoria dove veniva usata soltanto argilla, paglia e terra.

Fonte: blog.saltoquantico.org

lunedì 30 maggio 2016

FRANCIA: La foto rivoluzionaria che sta emozionando il Mondo





Un immagine che passerà alla storia 
o è la storia stessa che si ripete? 

Un ragazzo "armato" di un mazzo di fiori va incontro alla Polizia pronta a caricare con un messaggio carico d'Amore.
Negli anni 60 succedeva lo stesso con gli Hippie, una corrente di giovani occidentali "NON OMOLOGATI" che mettendo i fiori nei fucili dei militari, davano una lezione di umanità, Amore e compassione al mondo intero...

Oggi quei fiori sembrano dire:

"Ehi, poliziotti, voi che difendete il potere criminale che ci vuole tutti zitti e schiavi, disposti a sgobbare 8 ore al giorno, 12 mesi l'anno in cambio di uno stipendio che ci permette a malapena di sopravvivere, ma lo sapete che dentro le vostre armature, da qualche parte si nasconde ancora l'essere umano che eravate un tempo? L'amico che giocava a pallone con noi? Il compagno di classe con cui ci si faceva i dispetti? Il bambino che guardava il mondo con immenso stupore e non avrebbe schiacciato nemmeno un insetto?

Perché ora sei pronto a colpirmi?

Perché mi odi così tanto quando cerco di far valere i miei diritti?

Perché non ti accorgi che così facendo, ostacoli anche il futuro dei tuoi stessi figli?

Io chiedo solo di essere rispettato, di lavorare per vivere e non di vivere per lavorare. Ma ora la mia rabbia è tale che sono sceso in piazza, incurante di quello che mi succederà, e sono qui, di fronte a voi a sfidarvi con un mazzo di fiori, l'arma più innocente che esista al mondo, i miei colpi non vi provocheranno dolore, non vi faranno sanguinare ne perdere i sensi, ma vi assicuro che vi scuoteranno la coscienza, i miei colpi vi colpiranno dritto al cuore, per dirvi la stessa cosa che volevano dirvi gli Hippie 60 anni fa: Tornate ad essere "Esseri Umani", ascoltate sempre e solo il vostro cuore.

Infondo, noi siamo qui anche per voi, per i vostri e i nostri diritti, per il nostro e il vostro futuro e quello dei vostri figli...

Pace...

ANNI 60 I FIGLI DEI FIORI protestano contro le guerre nel Mondo...




Fonte: ilnuovomondodanielereale.blogspot.com


BOMBARDARE HIROSHIMA HA CAMBIATO IL MONDO, MA NON HA POSTO FINE ALLA SECONDA GUERRA MONDIALE





DI OLIVER STONE E PETER KUZNICK
latimes.com

La visita del Presidente Obama lo scorso venerdì ad Hiroshima ha fatto riaffiorare il dibattito circa il bombardamento atomico degli USA contro il Giappone – ampiamente insabbiato da quando lo Smithsonian aveva cancellato la sua mostra Enola Gay nel 1995. Obama, conscio che i suoi critici non aspettano altro che attaccarlo in caso sollevi il minimo dubbio sulla rettitudine della decisione del Presidente Truman di sganciare le bombe, ha preferito starsene zitto sulla questione. Un ravvedimento nazionale è fuori tempo massimo.


Alla maggior parte degli Statunitensi è stato inculcato che l’uso dell’atomica contro Hiroshima e Nagasaki nell’agosto del 1945 fosse giustificato dal fatto che aveva posto fine alla guerra nel Pacifico, evitando una costosa invasione statunitense del Giappone. Questa visione fuorviante è esposta nei libri di testo scolastici ancora oggi e, più pericolosamente, dà l’idea di come la pensino gli ufficiali governativi e militari, i quali operano in un mondo nel quale esistono ancora più di 15.000 armi nucleari.
Truman aveva esultato al bombardamento di Hiroshima, definendolo “il più grande evento della storia”. I leader militari statunitensi non avevano lo stesso entusiasmo. Sette degli otto più alti ufficiali del 1945 – i generali Eisenhower, Douglas MacArthur e Henry Arnold e gli ammiragli William Leahy, Chester Nimitz, Ernest King e William Hasley – hanno definito poi i lanci delle atomiche o militarmente non necessari, o moralmente deprecabili, o entrambe le versioni. Per di più le bombe non sono riuscite ad ottenere il risultato secondario per le quale erano state sganciate, intimidire i Russi.
Leahy, il Capo dello Staff di Truman, ha scritto nelle sue memorie che “I Giapponesi erano già stati sconfitti e pronti ad arrendersi... l’uso di queste armi barbare ad Hiroshima e Nagasaki non era di nessun aiuto nella guerra contro il Giappone”. MacArthur si è spinto più in là, ha detto all’ex presidente Hoover che se gli USA avessero garantito ai Giapponesi che avrebbero lasciato l’Imperatore al suo posto, questi si sarebbero tranquillamente arresi in maggio.
Non è stata la distruzione atomica di Hiroshima e Nagasaki a terminare la guerra nel Pacifico. In realtà è stata l’invasione sovietica della Manciuria e di altre colonie giapponesi, iniziata l’8 agosto 1945 – tra le due bombe.
Per mesi l’intelligence degli alleati aveva sostenuto nei suoi rapporti che un’invasione sovietica avrebbe eliminato il Giappone dalla guerra. L’11 aprile, per esempio, lo Staff delle Intelligence Congiunte dei Capi degli Staff Congiunti aveva previsto che “se in un qualsiasi momento l’Unione Sovietica dovesse entrare in guerra, tutti i Giapponesi si renderebbero conto che il loro annientamento sarebbe inevitabile”.
Gli USA, decifrati i codici giapponesi, erano a conoscenza della loro disperata necessità di negoziare una pace con gli USA prima dell’invasione russa. Truman stesso ha descritto un cablogramma intercettato del 18 luglio 1945 come “il telegramma dell’imperatore giapponese che chiedeva la pace”. Truman, però, si presentò al summit di metà luglio a Postdam per essere sicuro che i Sovietici mantenessero la loro promessa di Yalta di entrare in guerra. Quando Stalin gli diede la garanzia il 17 luglio, Truman scrisse nel suo diario “Entrarà in guerra in Giappone il 15 agosto. Quando accadrà sarà la fine dei Giapponesi”. Truman ribadì il concetto in una lettera a sua moglie del giorno successivo “Finiremo la guerra entro l’anno e penso ai ragazzi che non verranno uccisi”.
Sbaragliando velocemente l’armata giapponese del Kwantung, i Sovietici rovinarono i piani militari e diplomatici del Giappone: continuare ad infliggere perdite agli USA ed utilizzare Stalin per ottenere migliori condizioni di pace.
I bombardamenti atomici, per la loro disumanità, hanno giocato un ruolo modesto nei calcoli dei leader giapponesi circa la resa. Dopotutto, gli USA avevano già raso al suolo con bombardamenti tradizionali più di 100 città giapponesi. Hiroshima e Nagasaki erano solo due città in più distrutte, che l’attacco fosse effettuato con una bomba o migliaia poco cambiava. Come più tardi disse durante alcuni interrogatori il generale Torashiro Kawabe, vice capo dello staff, l’entità della distruzione portata a Hiroshima e Nagasaki si è scoperta “in maniera graduale”, ma “se paragonate, l’entrata della Russia in guerra fu uno shock maggiore”.
Quando è stato chiesto al Primo Ministro Kentaro Suzuki il 10 agosto perchè il Giappone avesse voluto arrendersi così impèrovvisamente, la spiefazione fu “l’Unione Sovietica non si prenderà solo la Manciuria, la Korea, Karafuto, ma anche Hokkaido. Questo distruggerebbe le fondamenta del Giappone. Dobbiamo terminare la guerra finchè possiamo ancora negoziare con gli USA”. I leader giapponesi temevano anche la diffusione del comunismo russo e sapevano che i Russi non avrebbero visto di buon grado la loro preoccupazione primaria – difendere l’imperatore e mantenere il sistema imperiale.
Truman conosceva i rischi. Sapeva che l’invasione russa avrebbe posto fine alla guerra. Sapeva che le rassicurazioni circa l’imperatore avrebbero avuto lo stesso effetto. Tuttavia decide di usare le bombe atomiche.
Mentre era a Postdam, Truman aveva ricevuto un report circa la potenza della bomba testata il 16 luglio a Alamogordo, New Mexico. Immediatamente dopo era “un’altra persona”, secondo le parole di Winston Churchill. Iniziò a dare ordini a Stalin e autorizzò l’uso delle bombe contro il Giappone. Truman pensò che se la decisione mostrata a Postdam non avesse dimostrato a Stalin chi comandava, sicuramente l’avrebbe fatto Hiroshima.
Stalin comprese il messaggio. Le bombe atomiche erano ormai parte integrante dell’arsenale statunitense e non solo un’ultima spiaggia. Ordinò agli scienziati sovietici di profondere tutti i loro sforzi nello sviluppo di una bomba sovietica. La corsa era iniziata. Alla fine i due schieramenti avrebbero accumulato l’equivalente di un milione e mezzo di bombe di Hiroshima. Come il fisico del Progetto Manhattan I. I. Rabi osservò con arguzia “All’improvviso il giorno del giudizio era diventato il domani e così sarebbe stato da allora in poi”.
Oliver Stone è un regista e scrittore, vincitore di Premi Oscar. Il professore di storia Peter Kuznick è direttore dell’ Istituto di Studi Nucleari dell’American University. Sono co-autori della serie di documentari e libri “La storia mai raccontata degli Stati Uniti”

Oliver Stone e Peter Kuznick
Fonte: http://www.latimes.com/
Link: http://www.latimes.com/opinion/op-ed/la-oe-stone-kuznick-hiroshima-obama-20160524-snap-story.html
26.05.2016

Il testo di questo articolo è liberamente utilizzabile a scopi non commerciali, citando la fonte comedonchisciotte.org e l'autore della traduzione FA RANCO


DALL’EUROPEISMO AL TTIP: UN PIANO DEGLI USA PER IL DOMINIO



di Marco Della Luna
Nel Regno Unito, dove vige maggiore libertà di informazione che da noi, il corrente dibattito sul referendum del 23 giugno sull’uscita dall’Unione Europea ha reso noto all’opinione pubblica ( vedi ad es. : The European Union always was a CIA project, as Brexiteers discover ), il fatto, censurato sul continente europeo, che il progetto dell’unificazione europea è un progetto di Washington varato alla fine degli anni ‘40 per assicurare agli USA il controllo politico finanziario del continente europeo a scopi geostrategici ed economici[i] e la sua permanenza nell’impero del dollaro, cioè tra i paesi che continuano ad accettare il dollaro anche se super inflazionato e vacillante e a comperare bonds in dollari anche se spazzatura e a partecipare a guerre e sanzioni volute da Washington anche se contrarie agli interessi nazionali.
Notoriamente da decenni gli USA sono un paese che vive essenzialmente sulla spalle degli altri, comprando a debito beni, materie prime e servizi, e facendo continue guerre per imporre l’accettazione di questo sistema di pagamento. E fra qualche tempo emergerà anche come gli USA si stanno impegnando per soffocare lo sviluppo e la industrializzazione di fonti alternative e pulite di energia, che soppianterebbero il petrolio, il dollaro come moneta obbligatoria per comprarlo, e le guerre per il petrolio, che sostengono l’elefantiaca industria statunitense degli armamenti.
Il progetto ha visto e vede in azione personaggi presentati come padri dell’Europa ma in realtà pagati e diretti da Washington, innanzi tutti Jean Monet e Robert Schuman. L’idea di unione europea viene inizialmente proposta come comunità del carbone, dell’acciaio e dell’atomo, allo scopo di ingranare tra di loro le economie di Francia e Germania così da prevenire fantomatici futuri conflitti tra esse. Poi quel primo organismo sviluppa una rovinosa politica agricola comune, diventa un’area di libero scambio; poi assume poteri legislativi e di controllo sempre più ampli sugli stati nazionali; poi si fa Schengen, la BCE, l’euro, il trattato di Lisbona che impegna a una crescente integrazione politico-istituzionale, poi il controllo centralizzato dei bilanci e delle banche, e via discorrendo, verso la creazione di un superstato europeo a direzione non democratica, non trasparente e irresponsabile (non accountable), con soppressione delle democrazie nazionali parlamentari in quanto “causa di guerre”.
Il tory Boris Johnson, ex sindaco di Londra, nel suo intervento pro brexit,  visibile a youtube.com/watch,  spiega che i due veri padri dell’Unione Europea, Monet e Schumann, intendevano creare un senso di identità-solidarietà europea con un metodo della psicologia comportamentale, applicando un principio che era già stato osservato come efficace in altri contesti, cioè – nella fattispecie europea – forzando permanentemente e crescentemente i diversi popoli europei a tenere comportamenti simili tra loro attraverso l’imposizione di regolamentazioni comuni, la moneta comune, l’inno comune, la bandiera comune, etc.: imporre un agire comune per far nascere un sentire comune. Decenni dopo, constatiamo che questo metodo ha chiaramente fallito, e ha anzi risvegliato contrapposti nazionalismi, poggianti su oggettive contrapposizioni di interessi soprattutto economici. Risorgono le frontiere, le economie divergono, crescono i movimenti anti-UE.
Ma persino davanti a tali fallimenti, l’oligarchia massonico-finanziaria, liberal-cosmopolita, insiste nel suoprogramma di unificazione forzataimponendo crescenti cessioni di sovranità e crescenti sacrifici. Questa evoluzione sta comportando (senza che lo si dica e che si permetta ali popoli di decidere) radicali e surrettizie trasformazioni costituzionali nei vari paesi aderenti, che perdono la loro sovranità a quote crescenti e a vantaggio delle burocrazie centrali, non democratiche e non responsabili, dell’Unione Europea – burocrazie oscenamente strapagate, e tanto corrotte, parassitarie e inefficienti, che da vent’anni l’organismo europeo di revisione dei conti non firma i loro bilanci. L’unica volta che si è fatto un controllo, è scoppiato lo scandalo della Commissione Santer con la commissaria Edith Cresson. Poi hanno deciso che era meglio non controllare più!
Incidentalmente: il potere legislativo, come praticamente ogni potere dell’UE, risiede nella Commissione, non eletta e irresponsabile, che discute e decide in segreto, a porte chiuse, altroché fascismo!
Ogni cessione di sovranità a questa burocrazia viene richiesta come condizione per sviluppo e sicurezza, ma l’Unione Europea è sempre più in crisi e sempre più in fondo alla graduatoria dell’OCSE in fatto di crescita – stanno meglio solo i paesi che non hanno aderito all’euro. Questo il bilancio dell’unione e della sua moneta. Un bilancio che dovrebbe svegliare anche le menti più torbide e sognatrici.
Solo gli idioti non riconoscono, a questo punto, che il progetto dell’Unione Europea non è mai stato rivolto al progresso e al benessere delle nazioni europei, bensì ad altri fini, a fini di dominazione, di controllo sociale.
Informandoci, anche grazie ad articoli come quello sopra linkato, scopriamo che esso serviva e serve al dominio degli Stati Uniti sull’Europa attraverso un processo col quale il vassallo Germania è stato posto in una condizione di egemonia in Europa soprattutto mediante gli effetti dell’euro e delle politiche fiscali, che hanno prodotto e stanno producendo un forte e crescente indebitamento dei paesi periferici verso la Germania e hanno dato quindi a questa l’iniziativa politica, il controllo delle istituzioni comunitarie e il diritto di veto. La Germania impone, col pretesto di prevenire l’inflazione e di risanare i bilanci dei paesi PIGS, misure recessive, che generano un avvitamento fiscale con conseguenti calo del pil, aumento del debito, accrescimento della sottomissione a Berlino, che diventa sempre più dominante.
Invero l’’euro non è una moneta unica, con un unico debito pubblico sottostante, ma un sistema di cambi fissi tra le precedenti valute, con debiti pubblici divisi, nel quale il regolamento delle transazioni internazionali si fa sostanzialmente mediante il rilascio di promesse di pagamento, cioè mediante indebitamento, delle singole banche centrali nazionali dei paesi a deficit commerciale verso quelli con attivo commerciale. I cambi fissi, impedendo l’aggiustamento fisiologico, cioè di mercato, dei rapporti valutare tra paesi con deficit e paesi con un surplus di bilancia commerciale, determinano un crescente deficit e un crescente indebitamento dei paesi meno efficienti soprattutto verso la Germania, ma anche una fuga di imprese, di capitali, di lavoratori e tecnici qualificati, così che la Germania si ritrova con enormi crediti che usa per comprarsi i pezzi più interessanti dei patrimoni e delle economie dei paesi indebitati – cioè trasforma i propri interessi attivi in beni reali dei paesi sottomessi. E l’Italia si ritrova non solo sempre più indebitata, ma sempre più deindustrializzata e sempre più abbandonata da giovani qualificati. Il crollo dei brevetti italiani è solo l’ultima riconferma di questo processo ultraventennale e strutturale di declino.
Tale era il disegno europeista reale dietro l’europeismo di facciata concepito dai padri nobili per i figli scemi, dai padri che facevano leva su supposti sentimenti di fratellanza e solidarietà tra i popoli degli Stati europei, quando anche gli idioti sanno che, nella politica, soprattutto quella internazionale, le decisioni vengono prese per convenienza e calcolo, alla ricerca del vantaggio e della sopraffazione. Se teniamo presente questa realtà, non avremo alcuna difficoltà a capire per quale ragione tutte le innovazioni europeiste hanno avuto effetti contrari alle promesse. E per quale ragione ad ogni crisi causata da tali effetti, si è risposto che la cura era “più europa”, più cessione di sovranità all’Unione, cioè a Berlino. Chi obietta, è estremista e populista, forse pazzo, quindi i suoi argomenti sono invalidi a priori, senza esame del merito, anzi non è nemmeno legittimato a parlare. Stile Stalin.
La prossima innovazione, già in avanzato stadio di elaborazione, è il famoso TTIP, il trattato transatlantico di libero commercio, negoziato in segreto, senza che nemmeno i parlamentari possono fare copie delle bozze, e possono consultarle solo per due ore, sorvegliati dai Carabinieri, senza poterne trascrivere brani, come recentemente denunciato dal sen. Tremonti.
Perché questa segretezza ultra-dittatoriale? Per coprire gli interessi economici retrostanti e i loro progetti:col TTIP le multinazionali statunitensi potrebbero prendersi larghe fette dei mercati nazionali europei (soprattutto in Italia, ai danni dei milioni di piccole imprese che danno il grosso della ricchezza e dei posti di lavoro, e con vantaggio solo di quelle pochissime imprese, perlopiù grandi, di cui gli USA importano i prodotti. Ossia: il TTIP sarà tutto a vantaggio delle esportazioni americane verso l’Europa e soprattutto verso l’Italia, e a danno dei piccoli produttori europei dai quali dipende il nostro livello di redditi e di occupazione.
Le multinazionali americane potrebbero imporre la vendita in Europa senza etichette distintive di loro prodotti OGM e in generale a rischio, potrebbero richiedere risarcimenti agli Stati che ponessero limiti allora affarismo quand’anche detti limiti siano giustificati da esigenze di tutte era della salute pubblica. Col TTIP disporrebbero anche, ciliegina sulla torta, di un tribunale sovranazionale praticamente organizzato da esse stesse, davanti a cui citare gli Stati dalle cui politiche e legislazioni si ritenessero danneggiate, per farli condannare a risarcire i danni da mancato profitto, e far pagare il risarcimento ai contribuenti. Anche quanto resta di libera ricerca e informazione medico-scientifica sarebbe tolto, perché contrario agli interessi del profitto. Molti economisti e giornalisti e politici in carriera, ipocritamente, dichiarano che il TTIP va bene, a condizione che la politica regolamenti l’affarismo. Ma ciò è proprio quel che il TTIP proibisce. E anche se non lo proibisse, la potenza di questo affarismo già controlla la politica.
Se il TTIP passerà, e credo che passerà perché non vi sono in campo dinamiche capaci di contrastarlo, sarà la totale eliminazione, da parte del grande capitale finanziario, di ogni limite e di ogni valore che si opponga ai suoi calcoli e alle sue speculazioni, cioè la fine pratica dell’esistenza del principio politico e del principio legalitario, oltre che dei diritti dell’uomo. Rimarranno solo quelli degli investitori, come li chiama il TTIP, ossia del capitale finanziario. Sarà una riforma non semplicemente dell’economia, ma della società e dello stesso concetto di uomo, il quale sarà ridotto e considerato esclusivamente come componente dei processi finanziari.
Il dominio USA sull’Europa attraverso il processo di unificazione europea sotto il vassallo germanico serve ultimamente a questo.


The Indipendent: "Con l'euro Francia e Italia destinate al fallimento"


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''L'ITALIA E LA FRANCIA SONO STATI DESTINATI AL FALLIMENTO PER COLPA DELL'EURO NON C'E' ALTRO DA DIRE''' (THE INDIPENDENT)



LONDRA - "La crisi europea del debito, come avviene per certe malattie, si sta spostando dalla periferia al centro, e l'Italia e la Francia sono particolarmente vulnerabili". Lo afferma l'editorialista del quotidiano britannico The Independent Satyajit Das in un rilevante articolo in prima pagina, oggi.
"I due paesi sono rispettivamente la tredicesima e la nona potenza economica mondiale, con redditi pro capite di 34.500 e 40.400 dollari, hanno una forza lavoro qualificata, infrastrutture sviluppate, capitali economici e sociali, sono potenze agricole e industriali, con posizioni di forza nei prodotti tecnologici, nel lusso, nell'alimentazione e nella moda, sono importanti esportatori e mete turistiche", prosegue l'editoriale.
"Sono considerati, insomma, "troppo grandi per fallire". Tuttavia, entrambi i paesi hanno una crescita lenta, una disoccupazione diffusa, finanze pubbliche precarie e problemi strutturali. Hanno avuto difficolta' a riformarsi e sono alle prese con un ambiente politico sempre piu' ostile. Il debito reale italiano (comprendente quello pubblico, quello privato e quello delle imprese) ammonta al 259 per cento del prodotto interno lordo, il 55 per cento in piu' rispetto al 2007".
"Quello francese al 280 per cento del Pil, il 66 per cento in piu' dal 2007".
"In un contesto di bassa crescita e bassa inflazione, col debito che aumenta, una crisi finanziaria e' inevitabile".
"In Italia la spirale del debito, nonostante l'austerita' e l'avanzo primario, ha origine da una combinazione di debole attivita' economica e bassa inflazione per colpa della valuta unica europea, in Francia non e' in vista un surplus a breve termine".

"Il vero problema e' la mancanza di competitivita' e alla base di questa mancanza c'e' l'euro. Prima degli interventi - tassi di interesse negativi e alleggerimento quantitativo - della Banca centrale europea, l'Italia e la Francia avevano una moneta sopravvalutata del 15-25 per cento senza la possibilita' di svalutarla, come avveniva quando c'erano la lira e il franco, per questo i governi sono ricorsi alla spesa pubblica finanziata col debito per mantenere l'attivita' economica e gli standard di vita".
"In assenza di un tasso di cambio favorevole, per colpa dell'euro, l'Italia e la Francia devono affrontare il difficile compito di ridurre i costi interni per recuperare competitivita': un processo brutale e non sempre di successo, anzi piuttosto di vasti e clamorosi insuccessi come dimostrano le esperienze di Grecia, Spagna, Portogallo e Irlanda".
"All'inizio dell'anno scorso, Yanis Varoufakis, all'epoca ministro greco delle Finanze, dichiaro' che l'euro era fragile come un castello di carte e che alti funzionari italiani la pensavano allo stesso modo ma non potevano dirlo perche' anche l'Italia e' a rischio di bancarotta".
"Il ministro italiano dell'Economia e delle finanze, Pier Carlo Padoan, replico' che il debito italiano e' sostenibile. La risposta - secondo questo duro editoriale pubblicato oggi dall'Indipendent - e' indicativa della negazione italiana e francese: mancano il riconoscimento della precarieta' della situazione e la volonta' di affrontare i problemi dell'euro e dell'incompatibilita' tra moneta unica e sovranita' nazionale. Il ribasso dei prezzi dell'energia, il calo degli interessi e il deprezzamento dell'euro non potranno celare questi problemi per sempre. Italia e Francia sono destinate a fallire, la crisi finanziaria potrebbe materializzarsi già in questo 2016, ma certamente avverrà nel 2017 alla fine del programma di stimoli della Bce".

Redazione Milano.

Fonte: ilnord.it


domenica 29 maggio 2016

Sardegna, riemerge sommergibile inglese dalla II guerra mondiale




“Sono state emozioni fortissime, perché non pensavamo più di riuscirci!”, descrive così le sue sensazioni il sub genovese Massimo Domenico Bondone dopo il ritrovamento del sommergibile inglese P311, rimasto sul fondo del mare sardo per 73 anni.

Davanti all'isola Tavolara nel pieno della II Guerra mondiale è affondato il sommergibile inglese con a bordo 71 marinai, di cui dal 1943 non c'erano più notizie… fino a qualche giorno fa. Il sub Bondone con il supporto tecnico dell'Orso Diving Club dopo diversi tentativi, quasi rassegnatosi, ha finalmente ritrovato a 100 metri di profondità il relitto, praticamente intatto.
Gli echi della II guerra mondiale arrivano fino ai giorni nostri. Tuttora vengono ritrovati, su quelli che erano all'epoca i campi di battaglia, resti delle vittime o dei semplici elmetti, degli oggetti come a ricordarci quei momenti di immane tragedia.
Il sommergibile della Royal Navy era in missione per mettere fuori uso gli incrociatori Trieste e Gorizia, il destino ha fatto sì che dopo 73 anni proprio un italiano abbia ritrovato il relitto, un vero cimitero di guerra. Il cerchio si è chiuso, le famiglie dei marinai inglesi, che ora sanno dove giacciono i loro parenti deceduti in guerra, hanno già espresso la loro gratitudine per quest'importante scoperta al sub italiano. Sputnik Italia ha raggiunto per una testimonianza il protagonista del ritrovamento, Massimo Domenico Bondone.

Passa il giro d'Italia, si 'fermano' anche i pesticidi





«Vista la presenza di turisti e tv anche dall’elicottero 
per il Giro d’Italia, si ricorda di non effettuare trattamenti 
fra le 14 e le 17 di oggi».


Articolo di Mirko Busto

È questo il testo del sms ricevuto dai frutticoltori soci di cooperative consorziate con Melinda, invitati a non accendere gli atomizzatori nelle ore riservate al passaggio del Giro. Il passaggio dei corridori in Val di Non non poteva evidentemente avvenire in una valle «annebbiata» dai pesticidi... che immagine avrebbe trasmesso???

E' incredibile che così tanta premura venga riservata a sportivi, giornalisti e tv mentre da anni tantissime persone chiedono di vivere in un ambiente più sano e vengono totalmente ignorate. 

Proprio in queste ore è stato pubblicato su Jama Neurology, uno studio americano secondo cui l'esposizione ai pesticidi e ad altre sostanze chimiche aumenterebbe il rischio di SLA, sclerosi laterale amiotrofica, una malattia degenerativa fatale

Questo oltre alle tante altre malattie già correlate a queste sostanze.

Se fa male al Giro, fa male a tutti! 


Fonte: ilnuovomondodanielereale.blogspot.com


Tutto quello che c’è da sapere per un No che manda via Renzi



Per la democrazia costituzionale, 30 ragioni per dire NO alla “deforma” costituzionale che Renzi vorrebbe imporre

A cura di Massimo Villone, Domenico Gallo, Alfiero Grandi
Da popoffquotidiano.it

1. Perché raccogliere le firme, se il referendum è stato già chiesto dai parlamentari?
Non si può lasciare al Palazzo la scelta se votare su una vasta modifica della Costituzione, facendone un plebiscito Renzi sì-Renzi no. La richiesta dei cittadini corregge la torsione plebiscitaria, inaccettabile perché impedisce la discussione di merito su una modifica pessima e stravolgente, che va respinta a prescindere dalla sorte del governo.
2. Ma anche Renzi ha avviato la raccolta delle firme dei cittadini.
Lo ha fatto non per amore di democrazia, ma solo perché i sondaggi hanno dimostrato che la via del plebiscito personale era per lui pericolosa. È anche un tentativo di scippare la bandiera della raccolta firme ai sostenitori del no. Tutto deve essere nel nome del governo.
3. Finalmente si riesce dove tutti avevano fallito.
È decisivo il come. Un parlamento illegittimo per l’incostituzionalità della legge elettorale, e una maggioranza raccogliticcia e occasionale, col sostegno decisivo dei voltagabbana, stravolgono la Costituzione nata dalla Resistenza. L’irrisione e gli insulti rivolti agli avversari vogliono nascondere l’incapacità di rispondere alle critiche.
4. La legge Renzi-Boschi riduce i costi della politica, cancellando le indennità per i senatori non elettivi.
Il risparmio è di spiccioli. La gran parte dei costi viene non dalle indennità, ma dalla gestione degli immobili, dai servizi, dal personale. Mentre anche il senatore non elettivo ha un costo per la trasferta e la permanenza a Roma, nonché per l’esercizio delle funzioni (segreteria, assistente parlamentare, ecc.). Risparmi con certezza maggiori si avrebbero – anche mantenendo il carattere elettivo – riducendo la Camera a 400 deputati, e il Senato a 200. Avremmo in totale 600 parlamentari, invece dei 730 che la legge Renzi-Boschi ci consegna.
5. I senatori eletti dai consigli regionali nel proprio ambito, insieme a un sindaco per ogni regione, rappresentano le istituzioni di autonomia. È la Camera delle Regioni, da tempo richiesta.
Falso. Un consigliere regionale è espressione di un territorio limitato e infraregionale, cui rimane legato per la sua carriera politica. Lo stesso vale per il sindaco-senatore. Avendo pochi senatori, ogni regione sarà rappresentata a macchia di leopardo. Pochi territori avranno voce nel senato, e tutti gli altri non l’avranno. È la camera dei localismi, non delle regioni.
6. Sarebbe stato meglio con l’elezione diretta?
Certo, perché i senatori eletti avrebbero dato rappresentanza a tutto il territorio regionale e a tutti i comuni in esso compresi. Una vera Camera delle regioni richiede l’elezione diretta, mentre l’elezione di secondo grado apre la via ai localismi e agli egoismi territoriali.
7. Il riconoscimento del seggio senatoriale può essere la via per creare un circuito di eccellenza nel ceto politico regionale e locale.
È vero piuttosto, al contrario, che si rischia un abbassamento della qualità nei massimi livelli di rappresentanza nazionale. Basta considerare le cronache di stampa e giudiziarie. Soprattutto perché ai consiglieri-senatori e ai sindaci-senatori si riconoscono le prerogative dei parlamentari quanto ad arresti, perquisizioni, intercettazioni. Un’inchiesta penale a loro carico può diventare molto difficile, o di fatto impossibile.
8. Ma le prerogative non riguardano le funzioni di consigliere regionale o di sindaco, che rimangono senza copertura costituzionale.
E come si possono distinguere? Se il sindaco-senatore o il consigliere-senatore usa il proprio telefono nell’esercizio delle funzioni connesse alla carica locale diventa per questo intercettabile? E se tiene riunioni nella sua segreteria di senatore? Le attività di indagine verrebbero scoraggiate, o quanto meno gravemente impedite.
9. In ogni caso, l’elezione diretta dei senatori è stata sostanzialmente recuperata nell’ultima stesura, per le pressioni della minoranza PD.
Falso. Rimane scritto che i senatori sono eletti dai consigli regionali tra i propri componenti. È stato solo aggiunto il principio che debba essere assicurata la conformità agli indirizzi espressi dagli elettori nel voto per il consiglio. Ma è tecnicamente impossibile. A dieci regioni e province (Valle D’Aosta, Bolzano, Trento, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Umbria, Marche, Abruzzo, Molise, Basilicata) spettano due seggi, e a due (Calabria, Sardegna) ne spettano tre. Uno dei seggi è riservato a un sindaco. Come si può rispettare la volontà degli elettori quando il consiglio elegge un solo consigliere-senatore, o due?
10. Il principio della conformità al volere degli elettori è comunque stabilito.
Ma cosa la “conformità” significhi, come possa realizzarsi, e cosa accadrebbe nel caso non si realizzasse rimane del tutto oscuro. In ogni caso si rinvia a una successiva legge, che – vista l’impossibilità di risolvere il problema – potrebbe anche non venire mai. Una norma transitoria rimette pienamente la scelta ai consigli regionali.
11. Ma il senato non elettivo era necessario per superare infine il bicameralismo paritario, fonte di continui e gravi ritardi.
Falso. Si poteva giungere a un identico bicameralismo differenziato lasciando la natura elettiva del Senato. In ogni caso, le statistiche parlamentari – disponibili online sul sito del Senato – ci dicono che nella legislatura 2008-2013 le leggi di iniziativa del governo, che assorbono in massima parte la produzione legislativa, sono arrivate alla approvazione definitiva mediamente in 116 giorni. Addirittura, per le leggi di conversione dei decreti legge sono bastati 38 giorni, che scendono a 26 per la conversione dei decreti collegati alla manovra finanziaria. Numeri, non chiacchiere.
12. Il bicameralismo differenziato semplifica comunque i processi decisionali e assicura maggiore rapidità.
Solo in apparenza. Negli art. 70 e 72 vigenti il procedimento legislativo è disciplinato con 198 parole. La legge Renzi-Boschi sostituisce i due articoli con 870 parole. Può mai essere una semplificazione? In realtà si moltiplicano i procedimenti legislativi diversificandoli in rapporto all’oggetto della legislazione. Ne vengono incertezze e potenziali conflitti tra le due camere, che potrebbero arrivare fino alla Corte costituzionale.
13. Ma su molte materie la Camera ha l’ultima parola, e questo evita le cosiddette “navette”.
Le navette prolungate con reiterati passaggi tra le due camere sono in genere sintomo di difficoltà politiche nella maggioranza, che – se ci fossero – si manifesterebbero anche con una sola camera decidente. Mentre il senato comunque partecipa paritariamente su materie di grande rilievo, come ad esempio le riforme costituzionali. Con quale legittimazione sostanziale, data la sua composizione non elettiva?
14. La fiducia viene data dalla sola Camera dei deputati, e questo contribuisce alla stabilità.
Poco o nulla. Nell’intera storia repubblicana il diniego della fiducia ha fatto cadere soltanto due governi (i due governi Prodi). Lo stesso governo Renzi è nato con una manovra di palazzo volta all’omicidio politico di Letta. Senza quella manovra, Letta potrebbe essere ancora in carica dall’inizio della legislatura. Uno dei governi più lunghi in assoluto.
15. Il rapporto di fiducia verso la sola camera dei deputati rafforza la governabilità.
La governabilità dipende non dal numero delle camere, ma dalla coesione della maggioranza che sostiene il governo. Una maggioranza composita e frammentata non potrà mai produrre governabilità. È decisiva una buona legge elettorale, che componga in modo corretto i valori della governabilità e della rappresentanza.
16. Per questo l’Italicum è il giusto complemento alla modifica della Costituzione.
Niente affatto. L’Italicum riproduce i vizi del Porcellum già dichiarati costituzionalmente illegittimi: eccesso di disproporzionalità tra i voti e i seggi attribuiti con il premio di maggioranza, per di più dato a un singolo partito; lesione della libertà di voto dell’elettore per il voto bloccato sui capilista, che possono anche essere candidati in più collegi.
17. Ma l’Italicum prevede una soglia al 40%, superata la quale la lista ottiene 340 deputati, e il ballottaggio a due nel caso la soglia non venga raggiunta. Con il ballottaggio ci sarà comunque un vincitore che supera il 50%.
Al ballottaggio e al premio si accede senza alcuna soglia. Se nel ballottaggio a due un partito prendesse due voti, e l’altro uno, il primo avrebbe comunque 340 seggi. Come con il Porcellum, è possibile che un singolo partito con pochi consensi reali nel paese abbia in parlamento una maggioranza blindata di 340 seggi, mentre tutti gli altri soggetti politici, che pure assommano nel totale maggiori consensi, si dividono i seggi rimanenti. Con la conseguenza che il voto dato alla lista vincente pesa sull’esito elettorale fino a quattro volte il voto dato alle altre liste. Un grave elemento di diseguaglianza tra gli elettori.
18. Un premio di maggioranza non è di per sé incostituzionale.
Ma è incostituzionale quello dell’Italicum. Già la soglia al 40% configura un premio di maggioranza enorme, con 340 deputati garantiti. Per di più, essendo sempre 340 i seggi assegnati alla lista vincente, il premio sarà maggiore per chi ha il 40% dei voti, minore per chi ha il 41%, e così via. Meno voti si prendono, più seggi aggiuntivi si ottengono con il premio. Un elemento di manifesta irrazionalità.
19. Ma l’Italicum garantisce che si sappia chi vince la sera del giorno in cui si vota. Un elemento di certezza.
Che nessun sistema elettorale potrà sempre e comunque assicurare. E in ogni caso la governabilità non si assicura dando un potere blindato con artifici aritmetici a chi ha una minoranza – anche ristretta – di consensi reali nel paese. Sarà pur sempre un governo al quale la parte prevalente del corpo elettorale ha negato adesione e sostegno.
20. Non è corretto censurare l’Italicum con l’argomento che apre la via all’uomo solo al comando.
Invece sì. L’Italicum prevede, come già il Porcellum, la figura del “capo” del partito. Il voto bloccato sui capilista e le candidature plurime per gli stessi capilista consentono al leader del partito di controllare in ampia misura la scelta dei parlamentari da eleggere, per la maggioranza blindata dal premio. La concentrazione del potere sul leader è indiscutibile.
21. Ma chi firma per il referendum abrogativo sull’Italicum vuole tornare al proporzionale puro di lista e preferenza, con tutti i connessi rischi di ingovernabilità?
Niente affatto. Si vuole soltanto ristabilire una condizione politica non viziata da meccanismi elettorali costituzionalmente illegittimi. Si potrà allora liberamente scegliere, con una corretta partecipazione democratica e una piena rappresentanza politica, di quali riforme il paese ha bisogno, inclusa la scelta di una legge elettorale conforme a Costituzione.
22. È comunque eccessiva l’accusa di una deriva autoritaria. Rimane intatto il sistema di checks and balances.
Ma l’effetto sinergico della riduzione del numero dei senatori e il dominio sulla camera dei deputati assicurato dal premio rendono decisiva l’influenza della maggioranza di governo nell’elezione in seduta comune del Capo dello Stato e dei membri del CSM, come anche nell’elezione da parte della Camera di membri della Corte costituzionale o di autorità indipendenti.
23. Sono effetti bilanciati dal rafforzamento degli istituti di democrazia diretta, ad esempio per l’iniziativa legislativa popolare.
Falso. Le firme richieste per la presentazione di una proposta di legge sono triplicate, da 50.000 a 150.000. Le garanzie sono rinviate al regolamento, e la maggioranza parlamentare rimane libera di rigettare o modificare la proposta. In altri ordinamenti, la proposta può andare all’approvazione per via referendaria, quanto meno nel caso di modifica o rigetto nell’assemblea legislativa.
24. Ma il referendum abrogativo si rafforza per l’abbassamento del quorum di validità, fissato alla maggioranza dei votanti nelle ultime elezioni per la Camera dei deputati.
Solo nel caso che sia stato richiesto con ben 800.000 firme, tetto quasi impossibile da raggiungere in un tempo in cui i corpi intermedi – partiti, sindacati – sono indeboliti o sostanzialmente dissolti. E non si capisce perché un referendum debba avere un quorum più alto se richiesto da 500.000 cittadini, e più basso se richiesto da 800.000.
25. Si prevedono i referendum propositivi e di indirizzo.
È fumo negli occhi. I referendum propositivi e di indirizzo sono solo menzionati a futura memoria nella legge Renzi-Boschi, che ne rinvia la disciplina a una successiva legge costituzionale. Tutto rimane da fare. Cosa impediva di introdurre fin da ora una disciplina compiuta? Un chiaro intento di non provvedere.
26. Si correggono gli errori fatti nella revisione del titolo V approvata nel 2001.
Non si correggono gli errori vecchi facendone di nuovi e sostituendo alla frammentazione un neocentralismo statalista. Ad esempio, non è accettabile che il governo passi sulla testa delle popolazioni locali nella gestione del territorio sotto l’etichetta di opere di interesse nazionale o simili. La vicenda trivelle deve insegnarci qualcosa.
27. Si semplifica il rapporto tra Stato e Regioni, che ha dato luogo a un enorme contenzioso davanti alla Corte costituzionale.
Ma non mancano contraddizioni e ambiguità, che possono tradursi in nuovo contenzioso. La soppressione della potestà concorrente in chiave di semplificazione del rapporto Stato-Regioni è ad esempio pubblicità ingannevole, perché si crea una nuova categoria di “disposizioni generali e comuni” che è difficile distinguere dalle leggi cornice della attuale potestà concorrente. E c’è anche un richiamo a “disposizioni di principio”.
28. Si rafforza lo Stato riportando ad esso potestà legislative di cruciale importanza.
La legge Renzi-Boschi riduce sostanzialmente lo spazio costituzionalmente riconosciuto alle autonomie. Alcuni profili potrebbero essere – se isolatamente considerati – apprezzabili. Ma il neo-centralismo statale è negativo in un contesto di complessiva riduzione degli spazi di partecipazione democratica e di rappresentanza politica.
29, La decostituzionalizzazione delle province è un momento importante di semplificazione istituzionale.
Vale anche per le province quanto detto per il neo-centralismo statale. Inoltre, sono un elemento marginale nell’impianto della legge Renzi-Boschi. Una parte persino non necessaria, come è provato dal fatto che la riforma delle province è stata già da tempo avviata. Il punto dolente è il modo in cui si sta realizzando.
30. La soppressione del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL) è positiva.
Vero, dal momento che il CNEL non esercita alcuna essenziale funzione politica o istituzionale. Ma la soppressione prende solo pochi righi in una modifica della Costituzione per altro verso ampia e stravolgente. Bastava una leggina costituzionale mirata, che non avrebbe dato luogo a polemiche. La positività della soppressione non può certo bilanciare la valutazione negativa di tutto il resto.

Fonte: popoffquotidiano.it


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