venerdì 2 maggio 2014

Lavoro, le cose cambieranno. In peggio


Di Giuliano Augusto - rinascita.eu

La disoccupazione è al 12,7%, come attesta l'Istat, ma grazie al decreto lavoro le cose cambieranno. Lo ha assicurato il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan. Un'affermazione inquietante ed tutta da verificare quella dell'ex capo economista dell'Ocse ed ex dirigente del Fondo monetario internazionale. Inquietante perché il passato professionale di Padoan fa temere che il verbo da lui usato, “cambieranno” appunto, debba essere inteso in senso peggiorativo. L'impostazione di Padoan è infatti quella tipica della tecnocrazia internazionale che auspica la flessibilità e il precariato come elementi essenziali del cosiddetto Libero Mercato globale. Un mercato sul quale il lavoro sia considerato un fattore della produzione alla stessa stregua delle materie prime, delle merci, dei prodotti finiti e, dulcis in fundo, dei capitali. E che, come tale, possa essere spostato a piacimento. Il principio che si vuol fare passare è infatti che tutti i lavoratori debbano accettare gli stessi ritmi di lavoro asfissianti ed essere pagati di conseguenza. L'unico problema è che i ritmi di lavoro presi come modello di riferimento debbano essere quelli cinesi che, grazie a questa peculiarità, sono all'insegna molto spesso dello schiavismo e della mancanza totale di lavoro. Ma tali da aver permesso il successo dell'economia cinese che a fine anno dovrebbe aver superato quella Usa, quantomeno in termini di Prodotto interno lordo.
Seppure edulcorate, le più recenti riforme del “mercato del lavoro” partorite dagli ultimi governi si muovono in questa direzione. Come il nuovo modello contrattuale che ha di fatto recepito la linea della Fiat che ha impugnato il contratto nazionale di categoria dei metalmeccanici, sostituendolo con uno a livello aziendale nel quale le buste paga sono sempre più condizionate dall'incidenza degli straordinari e dei premi di produzione. Lavorate, producete e non protestate altrimenti vi licenziamo e andiamo a produrre in Cina e in Romania dove i lavoratori non hanno le “pretese” (sic) di quelli italiani. Dobbiamo sostenere la concorrenza internazionale, è il refrain ripetuto ad ogni piè sospinto dalla Confindustria e da un mondo politico che non prova la benché minima vergogna a sorpassare a destra un Marchionne ed un Elkann per mostrarsi il più possibile in linea con l'attuale deriva liberista. Sappiamo che la disoccupazione è elevata ma bisogna attendere per trarre conclusioni, ha sostenuto Padoan. Non sarebbe serio dire che le cose stanno cambiando ma cambieranno. Appunto. Il problema è come. Gli ha fatto eco il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, che si è detto fiducioso sul fatto che il Parlamento provvederà a convertire il Decreto nei tempi previsti, confermandone l'ispirazione di fondo ed i contenuti fondamentali. A suo avviso, le misure contenute nel Decreto Lavoro si pongono l'obiettivo di dare una risposta urgente alla necessità di rilanciare l'occupazione. Il decreto, ha insistito, semplifica il ricorso al contratto a tempo determinato e all'apprendistato, per favorire l'inserimento dei giovani nel mondo del lavoro. Allo stesso tempo, esso punta a garantire una permanenza più lunga dei lavoratori in azienda, quella che è la premessa decisiva per la successiva stabilizzazione del rapporto di lavoro. Una stabilizzazione che in realtà ben poche aziende intendono perseguire, prese come sono nel tentativo di contenere i costi fissi, primo fra tutti quello del lavoro che non a caso resta il più penalizzato sia a causa della recessione che al trionfo delle logiche del mercato globale.


Fonte: rinascita.eu

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