domenica 13 aprile 2014

Non solo gas, ecco perché all’Europa serve essere amica della Russia

Non solo gas, ecco perché all’Europa serve essere amica della Russia

Durante gli anni ’60 del secolo scorso il “club di Roma”, composto da esimie personalità con ottimi curricula studiorum, aveva ipotizzato entro poco tempo la fine delle riserve di petrolio e di gas disponibili nel mondo. Di conseguenza, avvertivano quegli studiosi, stava per finire anche il periodo di grande sviluppo economico basato su energia a buon mercato e si dovevano pensare soluzioni alternative. 
Per nostra fortuna si sbagliavano totalmente e le numerose scoperte di nuovi giacimenti han dimostrato che l’esaurimento delle riserve di idrocarburi era ancora lontano. Addirittura negli ultimi anni sono state esperite, grazie a nuove tecnologie, nuove e inaspettate fonti di gas e petrolio da terreni fangosi e con estrazioni in orizzontale anziché in profondità.
Queste ultime tecniche e gli sconvolgimenti socio politici che si sono verificati tra gli ultimi anni del ‘900 e i primi di questo secolo stanno però causando rivolgimenti ancora più pericolosi di quanto immaginato da quei rispettabilissimi personaggi. Si tratta di sconvolgimenti che modificheranno drasticamente i prossimi equilibri geo-politici e che originano da due fattori: i luoghi da dove il gas e l’olio da scisto sono estraibili in grandi quantità e l’ascesa di nuovi protagonisti economici quali la Cina, l’India e il Brasile.

L’Agenzia Internazionale dell’Energia ha pubblicato uno studio, il World Energy Outlook, secondo il quale nei prossimi venti anni la crescita dell’85 per cento del consumo di energia verrà dalla regione Indo-Pacifica e, in particolare, fino al 2025 la Cina rappresenterà da sola il quaranta percento dei nuovi consumi, mentre, dopo quella data, sarà l’India a diventare il più grande consumatore mondiale di idrocarburi. Nello specifico, crescerà di più la domanda di gas, mentre per il petrolio l’aumento ci sarà, ma inferiore.
Noi siamo nati e ci siamo abituati a un mondo in cui il grande sviluppo economico europeo e nordamericano attirava il maggior rifornimento di prodotti energetici e i più importanti fornitori erano il Medio Oriente e la Russia. Tutta la politica internazionale del novecento ha girato attorno a questa realtà e le vie di comunicazione che legavano quei produttori e quei consumatori costituivano i nodi cruciali della geopolitica.
I primi segnali che le cose cominciassero a cambiare furono quando gli utilizzatori di varie materie prime si trovarono di fronte agli aumenti di prezzi dovuti al forte incremento della domanda cinese. All’inizio fu l’acciaio, poi venne l’”invasione” cinese dell’Africa. Solo la crescita dell’offerta di gas e petrolio non ne fece esplodere i prezzi, che comunque si mantengono tuttora ben al di sopra delle medie della fine del secolo scorso e della crisi degli anni settanta.
Ma questo non costituisce che l’inizio della nuova situazione che ci troveremo ad affrontare.
Le economie più dinamiche dei Paesi in forte sviluppo assorbiranno quantità sempre maggiori di energia e sarà naturale che i percorsi da considerarsi strategicamente più rilevanti saranno proprio quelli tra i Paesi produttori e i nuovi, più importanti, utilizzatori.
Ai produttori abituali si aggiungono, proprio grazie allo shale gas e al fracking cui accennavo poco sopra, gli Stati Uniti e il Canada (ma anche il Brasile, con i nuovi ritrovamenti). Entrambi sono oramai energeticamente auto sufficienti e in poco tempo saranno certi di diventare anche esportatori. La domanda più grande essendo in est-Asia, è naturale che, a questo punto, i luoghi strategicamente cruciali si sposteranno dal Mediterraneo/Atlantico al Pacifico e che nuove vie di comunicazione assumeranno l’importanza politica che avevano le attuali. Ne fanno testo le tensioni crescenti per il controllo del Mar della Cina e dello stretto di Malacca.
Perfino la Russia, che aveva come principale cliente i Paesi europei e aveva orientato i propri gasdotti e oleodotti verso ovest, ha già cominciato a costruirne di nuovi con direzione est, così come hanno fatto i Paesi dell’Asia centrale, Turkmenistan e Kazakhstan.
Tutto ciò prescinde, in Cina e India, da possibili evoluzioni politiche interne che, se di segno negativo, potrebbero rallentare di qualche anno la realizzazione di quanto descritto. Ma l’imponente dimensione demografica di queste aree e il loro correre verso lo sviluppo economico prevarranno comunque, prima o poi, su qualunque sconvolgimento politico potesse avvenire.
In altre parole, siamo di fronte a una situazione molto simile a quello che accadde al Mediterraneo dopo la scoperta delle Americhe: la perdita della centralità. La nostra Europa vede oggi il forte rischio di diventare un soggetto perdente su tutti i fronti: non più destinazione ne’ centro di passaggio dell’”oro nero”, un’economia “stentata”, minore attrattiva come mercato di sbocco e, probabilmente, prezzi in salita dovuti alla nostra diminuita capacità negoziale.
In questo scenario, del tutto realistico e probabilmente inevitabile, aumentano le perplessità di fronte alla politica di chi vorrebbe continuare a vedere nella Russia un pericoloso “nemico”, dimenticando che quel Paese resta pur sempre la più grande riserva di materie prime al mondo.
Senza voler mettere in discussione la nostra tradizionale amicizia con gli Stati Uniti, non si può non notare che per loro, ricchi e autosufficienti come sono, l’amicizia con la Russia potrebbe non essere indispensabile, mentre per noi europei le cose stanno ben diversamente. Solo se sapremo coltivare virtuose sinergie, anche energetiche, con questo enorme Paese potremo sperare di mantenere qualcosa del nostro benessere e del nostro ruolo attuale.
I russi hanno ancora (e lo avranno per lungo tempo) la necessità del nostro know-how e dei nostri prodotti e, sicuramente, non amano l’idea di “consegnarsi” totalmente ai vicini cinesi di cui temono l’invadenza e la potenza demografica.
Che utilità sarebbe per noi, dunque, averli contro? In un mondo che capovolgerà la direzione delle vie di comunicazione e lascia presagire una nostra possibile marginalizzazione ci conviene, al contrario, tenerci ben stretti quegli amici che possono offrirci ciò di cui noi necessitiamo. Salvo che non si accetti la prospettiva di diventare ininfluenti nel mondo e, magari, i nuovi “poveri”. Esattamente come capitò alle nostre Repubbliche Marinare dopo il 1492.
Per saperne di più: http://italian.ruvr.ru/2014_04_11/Non-solo-gas-ecco-perche-all-Europa-serve-essere-amica-della-Russia-4422/

Fonte: italian.ruvr.ru

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