mercoledì 16 ottobre 2013

Dossier: Come il cibo influenza la mente

Come già detto nel post precedente a proposito del declino delle facoltà cerebrali, ci sarebbe tanto da dire su un  argomento così misterioso, complesso e ricco di pesanti implicazioni, e così, ricordandomi di un altro libro di parecchi anni fa molto simile a quello da me recensito ("Supercibi per la mente"), dal titolo quasi uguale ("Cibo per la mente"), mi è sembrato quasi doveroso ampliare il discorso al di là degli aspetti degenerativi delle nostre funzioni più nobili.

Oggi c'è più che mai bisogno nella nostra società di salute mentale: gli episodi di cronaca di violenza, di follia omicida e di incidenti che a scadenza quotidiana funestano la vita di tante persone stanno lì a ricordarcelo. Perciò, proprio perchè si tratta delle funzioni più nobili, vale la pena soffermarsi su quei fattori e quei meccanismi in esse implicati,  ignorati per troppo tempo e ancora oggi  poco compresi o considerati.

Perchè se la consapevolezza del rapporto fra ciò che mangiamo e la salute del corpo, almeno per ciò che concerne le malattie metaboliche più diffuse come sovrappeso, malattie cardiovascolari, diabete e tumori, si sta ormai (finalmente) generalizzando, e i cosiddetti salutisti (che sono poi semplicemente coloro che ne tengono  contoconcretamente nelle loro scelte quotidiane) non vengono più additati come maniaci ed eccentrici, l' idea che gli stessi fattori responsabili dei nostri mali fisici possano influenzare ugualmente la mente, le emozioni e il comportamento è ancora piuttosto aliena per la maggioranza delle persone, o almeno non se ne percepisce la reale portata.

A questo atteggiamento non fa eccezione la classe medica, tant'è che, mentre per le suddette patologie si danno indicazioni a scopo preventivo (sia pure vaghe e a volte discutibili), per i problemi mentali più gravi e diffusi non si fa niente di simile, nonostante, come dicevo la volta scorsa ("Scongiurare Alzheimer e degenerazione cerebrale è possibile e anche facile"), la ricerca fornisca già elementi degni di considerazione (un' ulteriore testimonianza ci viene dagli studi di Franco Berrino). 

Si tratta evidentemente di una sorta di tabù culturale, figlio legittimo del ben noto dualismo cartesiano, che ha plasmato gli ultimi tre-quattro secoli della nostra civiltà con la sua netta dicotomia fra il mondo della "volgare" materia (res extensa, come la chiamava appunto Cartesio) e quello "nobile" e astratto del pensiero e dello spirito (res cogitans).


Sappiamo però che la teoria quantistica ha demolito tutti i postulati della  scienza classica di tipo meccanicistico, dimostrando che non c'è separazione fra i vari aspetti della realtà, e lo stesso buonsenso unito ad un pò di intuizione ci suggerisce che corpo e mente sono un tutt' uno inscindibile.

Del resto chiunque sa per esperienza diretta o indiretta che alcolici, droghe e psicofarmaci alterano pesantemente la nostra sfera psichica, anche se in presenza di qualsiasi problema di tipo mentale, emotivo o comportamentale nessuno di solito va a pensare  al cibo o alle bevande abitualmente assunti come possibile causa.


Un motivo è sicuramente il fatto che sostanze alcoliche e stupefacenti hanno come bersaglio diretto proprio il sistema nervoso e  il loro effetto è molto più immediato e tangibile, mentre il cibo agisce a livello generale e in modo molto più lento e subdolo, con un effetto finale che risente dell' interazione di vari fattori. Non c'è dubbio però che qualsiasi sostanza entri a far parte del nostro ambiente interno finisce in qualche modo e in qualche misura con l' influire tanto sul corpo quanto sulla mente. E ciò che si consuma regolarmente per anni può avere conseguenze più gravi di una sbornia occasionale.

Quanto il concetto di unità del nostro essere sia poco compreso perfino dai medici lo conferma del resto il fatto che il rapporto mente/corpo è interpretato sempre a senso unico, e a testimoniarlo è l' espressione "psicosomatico", oggi divenuta molto di moda,  con cui s' intende un disturbo a carico di un organo che ha origine in un turbamento, un' alterazione a livello psichico, mentre il caso opposto non è contemplato.  Pur riconoscendo indubbiamente l' enorme potere della mente sul corpo, di solito non si tiene  conto però che il modo di interagire del sistema nervoso con l' ambiente, il tipo di risposta ai vari stimoli, sono condizionati dal substrato biologico: chi ha un fegato congestionato e irritato, per fare un esempio, avrà sempre una tendenza a reazioni colleriche, all' intemperanza e all' aggressività, per quanti sforzi faccia per correggere tale tendenza mediante psicoterapia o esercizi yoga rilassanti.

Un altro motivo di questa miopia generalizzata è che le poche informazioni oggi disponibili su come il cibo influenza la mente non arrivano al grande pubblico (almeno per quanto riguarda gli organi ufficiali d' informazione), e non di rado neppure gli stessi medici ne sono al corrente.

Per fortuna però da diversi anni a questa parte stiamo assistendo ad un cambiamento radicale nel mondo dell' informazione grazie ad internet e a case editrici "alternative", come il gruppo Macro, che pubblica libri come  "Cibo per la mente".

Scritto dal dr. Saul  Miller, psicologo, ricercatore e docente e da sua moglie Jo Ann Miller, psicologa sociale, si tratta di un lavoro unico non solo per essere stato il primo (fine anni '80) ad affrontare un argomento simile, ma soprattutto per averlo fatto da una nuova prospettiva che, pur senza trascurare gli aspetti scientifici e le conoscenze più aggiornate in materia di nutrizione e neurofisiologia, si spinge oltre l' ambito della biochimica, degli additivi chimici potenzialmente dannosi presenti nei cibi e del  computo delle calorie per abbracciare concetti nuovi per la scienza come il principio yin-yang e la concezione energetica degli alimenti.

Si tratta di un passo avanti cruciale che ci consente di capire meglio e più facilmente certe correlazioni tra cibo e comportamento su cui evidentemente è decisamente il caso di soffermarsi. Cosa che mi riprometto di fare la prossima volta.

Michele Nardella
Come il cibo influenza la mente (seconda parte)

Avrei voluto intitolare questo post "Mens sana in corpore sano", che ne riassume in modo semplice e immediato tutto il significato.

Il ben noto adagio latino, espressione di un' antica saggezza ormai in gran parte perduta,  sta a ricordare, come si capisce facilmente, che una mente sana può esistere solo in un corpo sano, e perciò cercare di risolvere i problemi mentali senza preoccuparsi del loro supporto materiale biologico è un pò come cercare di edificare un palazzo partendo dall' attico.

Ma l' uomo moderno, abituato com'è a mettere spesso il carro davanti ai buoi in questo mondo dove, guarda caso, oggi  tutto è sotto-sopra, preferisce il più delle volte rincorrere le teorie più astruse e improbabili a scapito di quelle più semplici e intuitive.

Prima però di addentrarmi in  considerazioni che  esulano dai limiti di un approccio scientifico ortodosso, conviene partire da quei dati più accessibili e che dovrebbero per questo già essere di pubblico dominio (ma non lo sono).

Non passa giorno che qualche sciagurato incosciente alla guida di un' auto non provochi un incidente, spesso costando la vita a un pedone o un ciclista, e nella larga maggioranza dei casi si scopre che il conducente era al momento dell' incidente sotto l' effetto di alcool o droga. Un fenomeno nuovo che fino a non tanti anni fa non si era mai mostrato in queste proporzioni.

Anche l' ipoglicemia può portare ad alterazioni del livello di attenzione e dei riflessi nervosi, anche se non se ne parla e non sapremo mai quanto essa incida nelle statistiche degli incidenti.

Questa condizione, più comune di quanto si pensi (ma difficile da diagnosticare), essendo la normale reazione ai picchi iperglicemici dovuti alle moderne abitudini alimentari, colpisce le cellule cerebrali, che vanno in crisi quando appunto nel sangue c'è poco glucosio, data la loro assoluta necessità di quello che è per esse l' unico carburante utilizzabile.

In questo caso le manifestazioni cliniche sono le più disparate, dipendendo molto dal soggetto e dalle circostanze, e comprendono, oltre al già citato calo di attenzione, irritabilità, iperattività (emblematica la tipica "vivacità" degli scolari  che si pretende di curare col micidiale Ritalin), ansietà, sbalzi d' umore, depressione, fame compulsiva e aggressività.

Un possibile effetto dell' ipoglicemia
Fra i numerosi studi su cosa influenza il cervello,  alcuni,   esaminando centinaia di pazienti psichiatrici  affetti da schizofrenia o neurosi ansiosa,  
hanno rilevato una condizione ipoglicemica in una percentuale molto elevata di casi. Una volta ripristinati i valori normali di glicemia, i pazienti hanno sperimentato un miglioramento nel giro di giorni ( i particolari si trovano al seguente link in inglese:Kushi Institute of Europe alla voce "Hypoglycemia" in fondo).

Particolarmente interessante un esperimento  condotto in un riformatorio, ilTidewater Detention Center di Chesapeake in Virginia, USA, per verificare l' effetto dell' eliminazione dalla dieta del solo zucchero raffinato in tutte le sue forme sul comportamento di 24 giovani reclusi: ebbene, dopo tre mesi, senza alcun' altra modifica  dietetica, si era registrato un calo del 45% degli episodi di turbolenza e relativi provvedimenti disciplinari.

Un altro esperimento non meno degno di rilevanza, condotto allo Shattuck Hospital di Boston, ha visto come cavie 18 pazienti psichiatrici della terza età  ai quali son stati propinati veri pasti macrobiotici  preparati da uno staff di chef specialisti addestrati al Kushi Institute locale (che hanno dovuto faticare non poco nel cercare di adattare, almeno nell' aspetto, i loro piatti a chi era abituato ad hamburgers e hot dogs). Al termine dello studio durato otto settimane e condotto in doppio cieco con gruppo di controllo, i ricercatori hanno rilevato nei suddetti pazientiuna riduzione dei sintomi psicotici, dell' ansia e dell' irritabilità , mentre nessun cambiamento si era potuto notare nel gruppo di controllo.


Si parla proprio di questo e molto altro in "Crime & Diet", ancora non disponibile in italiano, mentre fra gli altri libri sullo stesso argomento, sempre in inglese, si possono segnalare "Diet, Crime and Delinquency" (Alexander G. Schauss) e "Body, Mind and Sugar" (E. M. Abrahamson).
Purtroppo un altro libro estremamente interessante e unico nel suo genere, "Macrobiotica e comportamento umano" di Bill Tara, è inspiegabilmente da tempo fuori catalogo. Dunque, a quanto mi risulta, attualmente in italiano è disponibile solo "Cibo per la mente",  cui ho accennato nel post precedente, l' unico che si possa paragonare ai titoli appena citati.  

Non è pensabile di potersi soffermare nei limiti di un blog su tutti gli aspetti di un tema così vasto, complesso e in continua evoluzione come questo, e perciò non accennerò neanche a come, a seconda del tipo di dieta, si possa controllare la disponibilità per il cervello di triptofano, aminoacido essenziale precursore (fra l' altro) della serotonina, un importante mediatore del sistema nervoso che induce un senso di tranquillità e gratificazione, nè ai fattori implicati nella sintesi di dopaminae adrenalina, fondamentali neurotrasmettitori responsabili dello stato di vigilanza, o alla feniletilamina (PEA), di cui sono particolarmente ricche le alghe Klamath, che potenzia l' azione della dopamina, generando un senso di piacevolezza e soddisfazione. Tutte cose di cui si tiene molto conto nella medicina ortomolecolare.

Ciò che invece mi preme evidenziare è che da tutti questi studi emerge che il risultato finale non dipende quasi mai da un singolo fattore in gioco, ma da un equilibrio che si viene a creare considerando la dieta nel suo complesso, mentre nell' ottica della medicina convenzionale si tende ad individuare una specifica causa per ogni sintomo, isolando così ogni singolo fattore per evitare ambiguità interpretative.  Ecco perchè si stigmatizza l' uso di alcolici e droghe, in quanto causa diretta di incidenti e crimini, mentre non  si considerano quelle condizioni che possono facilmente indurre a tali pratiche viziose.

Ed è proprio questo  l' aspetto più drammatico della questione, che si aggiunge alla dannosità intrinseca di quei fattori responsabili  dell' ipoglicemia , o di qualsiasi altra forma di malessere psicofisico, facendo di queste una condizione particolarmente insidiosa. Chi soffre di questi problemi (e nella maggioranza dei casi non se ne ha neppure la consapevolezza) è spontaneamente attratto da alcool,  droghe e stimolanti (come pure da dolciumi e  cibo in genere) per la gratificazione che ne ricava a compensazione del suo malessere o delle sue preoccupazioni. Sostanze che al contempo innalzano potentemente anche la glicemia, arrecando un immediato ma effimero sollievo, e perciò non fanno che chiudere il soggetto in un infernale circolo vizioso, in quanto, a causa della conseguente scarica di insulina, il problema dell' ipoglicemia si riproporrà inevitabilmente.

Negli ultimi tempi il consumo di alcool, droghe, unitamente ad ansiolitici e antidepressivi (oltre che a scorrette pratiche alimentari) si è paurosamente diffuso  fino a livelli senza precedenti, sintomo evidente di un profondo, crescente malessere della nostra società. Certo non si può dire che  manchino le ragioni per giustificare il ricorso a tali espedienti consolatori. Non c'è bisogno di andarle a cercare perchè ognuno può trovarne quante ne vuole, basti pensare ai tempi particolarmente duri che stiamo attraversando, ma ciò che non viene preso mai in considerazione è che il modo di percepire e di vivere la nostra realtà, il modo di elaborare le informazioni che arrivano al nostro cervello, le emozioni che suscitano e le conseguenti reazioni hanno una base biologica, ed è quando questa base vacilla che nascono i problemi. Chi sta davvero bene ha maggiori risorse energetiche ed è dunque avvantaggiato nell' affrontare  le inevitabili difficoltà che incontra sul suo cammino.

E' emerso tempo fa nel corso di ricerche sulle statistiche relative ai suicidi  che un alto tasso di casi si riscontra fra gli abitanti di  zone geografiche i cui terreni sono poveri dimagnesio, un importante minerale che contribuisce, fra l' altro, alla stabilità mentale (e che scarseggia nelle diete moderne). Solo semplice coincidenza?

Ovviamente nessuno oserà mai affermare che ci si suicida perchè in ciò che si mangia c'è poco magnesio, ma dati come questo dovrebbero quantomeno far riflettere.

Ciò che abbiamo visto finora però è solo una piccola parte del complesso rapporto cibo/salute mentale. Non è infatti possibile con la sola analisi di singole sostanze arrivare a capire il funzionamento del nostro cervello, e in particolare certe correlazioni che invece erano ben note già in tempi remoti, cioè molto tempo prima dell' era scientifica.

Per questo, come accennavo all' inizio, è necessario un salto quantico, cominciando col capire che tutte le manifestazioni sono risultato di trasformazioni di un' unica energia, la quale segue precisi principi che danno origine ad un modello ciclico universale.

E' il principio di analogia che scaturisce da questo schema, basato su un tipo di visione complementare a quella della scienza convenzionale, la chiave per comprendere certe correlazioni precluse a quest' ultima.

Questa concezione universale ed unitaria è ben espressa in tutte le dottrine e medicine tradizionali, come nell' induismo, che non fa distinzione tra salute del corpo e salute della mente. Esso considera i molteplici fenomeni della natura come il risultato di infinite combinazioni di tre qualità fondamentali, chiamate guna(Sattva, Rajas e Tamas), perciò anche il cibo, considerato in questo sistema di corrispondenze e quale parte integrante e fondamentale di qualsiasi processo di trasformazione individuale, si rivelerà più o meno appropriato per le qualità di chi se ne nutre. In particolare nello yoga si pone molto risalto a cibi e bevande che ostacolano lo sviluppo spirituale (tamasici) e a quelli che lo favoriscono (sattvici).

Per la macrobiotica, che altro non è che una interpretazione in chiave moderna del patrimonio di conoscenze della tradizione medico-filosofica cino-giapponese, adattata cioè alla mentalità scientifica occidentale, la salute è il risultato di un equilibrio dinamico fra fattori opposti e complementari, designati con gli archetipiyin-yang, e anche in questo caso non si fa differenza fra psiche e soma.

Le caratteristiche  che fanno classificare un soggetto di costituzione yin oppure yang comprendono infatti tanto quelle fisiche che quelle temperamentali: per quanto riguarda queste ultime, una persona di costituzione yin mostra un carattere più tranquillo e flemmatico, con tendenza alla timidezza,  all' introspezione e all' idealismo, più incline ad attività intellettuali, artistiche o filosofico-religiose. Quando però tale tendenza diventa eccessiva e si sconfina nel patologico (cosa che si verifica prima o poi seguendo diete eccessivamente yin), si può facilmente diventare inibiti, passivi, pessimisti, emotivamente fragili, privi di iniziativa, di capacità di concentrazione e si finisce col chiudersi in sè stessi rifugiandosi nel mondo della fantasia, nell' incapacità di affrontare gli aspetti pratici e concreti della realtà (che è l' anticamera di ogni tipo di dipendenza).

All' opposto gli individui yang  si riconoscono generalmente per il loro dinamismo, un' indole più pratica, una mentalità più materialistica e razionale, un carattere più estroverso e sono più portati per attività di tipo fisico. All' estremo però essi diventano mentalmente rigidi, fanatici, arroganti, testardi e aggressivi, concentrandosi sempre più sul proprio ego e sul proprio soddisfacimento materiale.

 Ed è significativo che a tali segni attitudinali e comportamentali, sia nel caso di soggetti yin che di quelli  yang, corrispondono  caratteristiche fisiche dello stesso tipo, a testimonianza di quell' unità già ribadita (ma su questo non è il caso di soffermarmi perchè esulerebbe un pò dal tema).

Ovviamente queste sono indicazioni generali e piuttosto schematiche, perchè in realtà esiste una vastissima gamma di situazioni intermedie, ma volendo andare più nei dettagli si scoprono molte altre cose interessanti:



Secondo la teoria dei 5 elementi (o delle 5 trasformazioni) infatti, buone condizioni di salute difegato e cistifellea (legno) generano pazienza, prudenza e senso dell' ordine, mentre in caso di sofferenza di questi organi si hanno collera, irritabilità, aggressività e impulsività;

Quando cuore e intestino tenue (fuoco) sono in salute si hanno calma, pace e tranquillità e gioia, che lasciano il posto a eccitabilità, iperattività, ilarità, eccessiva loquacità,  superficialità ed eccessiva passionalità in caso di disordini degli stessi;

Milza/pancreas e stomaco (terra) in buone condizioni si riconoscono nella capacità di provare simpatia, comprensione, compassione e nella consapevolezza di avere sufficienti risorse energetiche, mentre nelle condizioni opposte si sviluppano preoccupazione, idee fisse, ansia, cinismo, scetticismo, attaccamento e dipendenza psicologica;

Polmoni e intestino crasso  (metallo) sani danno stabilità, praticità e sicurezza, che si trasformano in tristezza, depressione e scarsa autostima in caso di malattia;

Reni e vescica  (acqua) sani e forti si riconoscono in una grande forza di volontà, determinazione, coraggio e spirito di avventura, ma quando sono malati generano timidezza, indecisione, paura e fobie.

Evidente a questo punto il divario rispetto alla medicina convenzionale che, specie in quest' ultimo caso, non riconoscendo l' origine organica del problema, quando non può intervenire farmacologicamente indirizza sistematicamente alla psicoterapia, con tutte le implicazioni in termini di durata del trattamento... e relativi costi astronomici.

Michele Nardella

Alcuni riferimenti bibliografici:

H. M. Saltzer, "Relative hypoglycemia as a cause of neuropsychiatric illness" Journal of the National Medical Association 58: 12-19;
J. Lieff et al., "Study results of dietary change in Shattuck Hospital Geropsychiatric Wards" Crime and Diet, Japan Publications 1987;
"The effect of sugar on the treatment and control of antisocial behaviour" Int. J. Biosoc. Res, 1982, 3, pag. 1-9.


Fonte: nardellamichele.blogspot.it

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