sabato 5 ottobre 2013

Come potremmo salvarci, e perché la Merkel lo impedirà

Salvare l’Europa in sole quattro mosse: salvataggio delle banche pericolanti coi fondi del Mes, riduzione del debito con emissione di bond garantiti dalla Bce, un piano speciale per il rilancio degli investimenti produttivi e un paracadute di solidarietà sociale per non lasciare nessuno in preda alla disperazione. Tutto tecnicamente possibile, se solo i politici lo volessero. Purtroppo, sostiene Yanis Varoufakis, economista dell’università di Atene, nulla lascia supporre che si voglia davvero evitare la catastrofe. Per un motivo drammaticamente semplice: se accettasse di metter fine all’“economicidio” europeo, Angela Merkel perderebbe il suo attuale, immenso potere di ricatto. Per questo, alla vigilia delle elezioni, ha deliberamente ignorato l’invito del giornalista americano Bob Kuttner: una sorta di “Piano Merkel”, per cancellare gli orrori del rigore e farsi ricordare con gratitudine, anziché con odio.
A insaputa dei tedeschi, la Merkel sta scherzando col fuoco. Il professor Varoufakis lo spiega in un intervento per il “New Left Project” ripreso da Angela Merkel“Megachip”. «L’economia tedesca è di fronte ad un vero sbarramento di ostacoli il cui impatto si sentirà molto, molto presto: quando succederà, nessun cancelliere tedesco, per quanto preoccupato del suo lascito, se la sentirà di dire al Bundestag che la Germania deve finanziare un Piano Marshall europeo per la propria bella faccia». Il primo di questi problemi incombenti, avverte l’economista greco, è la diminuzione anticipata della domanda cinese per beni capitali tedeschi: «Come gli investimenti cinesi si restringono, grazie al semplice fatto che il loro livello attuale è insostenibile dato il livello effettivo della domanda per output cinesi, la possibilità della Germania di sostituire la domanda decrescente dall’Eurozona (innanzitutto da Spagna e Italia) con domanda addizionale dalla Cina, di fatto svanirà».
Sta quindi per sparire un colossale “cliente” dell’export di Berlino. In più, «sta anche fermentando una crisi dovuta gli alti, e crescenti, costi dell’energia», che è «il “combustibile” che sta dietro l’industria tedesca fortemente orientata alle esportazioni». Nel Texas, dove attualmente Varoufakis vive e lavora, le corporation tedesche come la Basf stanno costruendo nuovi impianti di produzione giganteschi, sottraendo investimenti in Germania. Non appena cresceranno i differenziali di prezzo dell’energia tra la Germania e gli Usa, ma anche tra la Germania e il resto d’Europa, l’economia tedesca dovrà stringere sempre più la cinta. Infine, il terzo mandato della Merkel sarà «funestato da un contraccolpo politico» molto difficile da digerire: «La demografia del paese sta stressando il sistema sanitario, quello pensionistico e di sicurezza sociale». Sicché, la massa crescente di tedeschi che vivono in indigenza e che lavorano in “micro-jobs” senza sbocchi e senza speranza, difficilmente prenderebbero bene un “Piano Merkel” per i paesi del Sud Europa, che la stampa e la politica tedesca hannoYanis Varoufakisdipinto per tre anni come dissoluti, adagiati nei debiti, indegni partner dell’Eurozona.

Stabilito che la Germania non può permettersi di pagare per l’euro-crisi, cosa può fare la Merkel durante il suo terzo mandato per prevenire la disintegrazione dell’Eurozona e lo smantellamento di fatto dell’Unione Europea che sicuramente seguirebbe? Per ora, probabilmente, preferirà continuare con l’attuale politica dei diktat, ben sapendo però che l’Eurozona ha le ore contate. Una delle opzioni prese in considerazione da Merkel e colleghi, racconta Varoufakis, è “amputare e stampare”. Ovvero: tornare all’idea di una mini-unione monetaria, espellere paesi come la Grecia e il Portogallo e stampare sufficienti quantità di euro per inondare di liquidità i mercati finanziari della rimanente Eurozona. «E’ un gioco pericoloso, come ben capisce anche la Merkel, che verosimilmente causerebbe la morte dell’asse franco-tedesco, in quanto il processo di “amputazione” non può finire senza l’espulsione anche della Francia. E dato che l’asse franco-tedesco è uno dei perni dell’Unione Europea, che le diede la luce come un cartello del carbone e dell’acciaio, l’Europa come la conosciamo farebbe testacoda».
Insieme a John Kenneth Galbraith e Stuart Holland, Varoufakis  ha proposto un piano-B che sulla carta prospetta molti vantaggi: «Riteniamo che offra alla Merkel alcune soluzioni immediate, praticabili nell’ambito delle attuali legge europee e degli attuali trattati e, soprattutto, senza bisogno che i contribuenti tedeschi finanzino remissioni di debiti o necessità di investimento nella periferia». L’idea è sfruttare le istituzioni attuali, senza ricorrere a nessuna di quelle manovre alle quali si oppongono molti europei, come le garanzie statali, i trasferimenti fiscali e difficoltosi cambiamenti dei trattati, che molti elettorati potrebbero rifiutare. «Nel loro insieme, le nostre quattro politiche non configurano un “Piano Merkel” ma un New Deal europeo». Come Roosevelt, la cancelliera potrebbe raggiungere «progressi John Kenneth Galbraithdecisivi in pochi mesi, attraverso misure che ricadrebbero totalmente nella cornice costituzionale che impegna i governanti tedeschi».
Punto primo, un programma bancario mirato: sbloccherebbe l’impasse dell’unione bancaria con una “europeizzazione” delle banche in difficoltà, sotto la giurisdizione degli Stati membri stressati fiscalmente. Gli istituti di credito verrebbero ricapitalizzati dal Mes. «Quando questo processo finirà e le banche saranno ripulite, il Meccanismo Europeo di Stabilità venderà le sue quote rientrando in possesso (molto probabilmente con interessi) dei capitali che i contribuenti europei avranno immesso nel progetto per ripulire il loro settore bancario (ora unificato)». Altro punto nodale, un programma limitato di conversione del debito, «con la Bce che amministrerà un semplice programma di conversione dei debiti degli Stati membri che sceglieranno di parteciparvi». L’idea è che la Bce paghi una parte di ogni bond governativo giunto a scadenza, per la porzione di debito pubblico dello Stato membro che è permesso avere dal Trattato di Maastricht. «Per finanziare questi pagamenti (o riscatti), la Bce emetterebbe suoi propri bond (Bce-bond) a suo nome, garantiti soltanto dalla Bce ma rimborsati totalmente dagli Stati-membri, a nome dei quali la Bce li avrà emessi. A sua volta, la Bce sarebbe garantita dal Mes in caso di default di qualche Stato. Vantaggi: gli stati membri godrebbero di una grossa riduzione dei tassi di interesse, senza alcun costo per la Bce e senza costringere i contribuenti tedeschi a pagare il debito di altre nazioni.
Parallelamente, i tre economisti propongono un programma di convergenza e ripresa guidata dagli investimenti, per fare in modo che i risparmi europei inattivi si spostino verso investimenti produttivi, specie nelle aree europee più bisognose. «Per far ciò a un livello paragonabile al New Deal rooseveltiano del 1933-1937, tutto ciò che l’Europa deve fare è potenziare la Banca Europea per gli Investimenti (Bei) per amministrare un programma di investimenti che utilizzi la sua capacità a lungo trattenuta di emettere suoi propri bond (mobilitando così risparmi inattivi, a fine di investimento) per coprire il 50% di un massiccio programma pan-europeo di investimenti». Dal canto suo, la Bce si farebbe carico, a nome dell’Eurozona, del rimanente 50% degli investimenti della Bei. «E’ questo il modo per iniettare investimenti nella malandata Eurozona senza chiedere al contribuente tedesco di pagare il conto». Infine, avrebbe varato un programma d’emergenza di solidarietà sociale, che venga incontro alle necessità basilari causate dalla crisi e «finanziato da somme attualmente accumulate nelleStuart Hollandviscere del sistema di banche centrali europee e generate dalle stesse asimmetrie che sono la causa della crisi».
«Se la Merkel è seriamente interessata al suo lascito, dovrebbe adottare queste proposte», dice Varoufakis. «Ciò farebbe diventare il suo terzo mandato sinonimo di quella revisione di cui l’Eurozona ha disperatamente bisogno, senza ipotecare il futuro Pil tedesco o impegnarsi in un oppressivo “matrimonio” federale che non è voluto né dalla Francia né dalla Germania». Quello che manca, aggiunge l’economista greco, è proprio la volontà di uscire da questa crisi. Perché? «La triste risposta sta nel regno della politica. La tragedia europea è che quelli che hanno il potere di riprogettare e quindi aggiustare il sistema euro, come la Merkel al suo terzo mandato, rischiano di perdere molto potere negoziale nell’Eurozona, se lo fanno. In termini succinti, se la signora Merkel usasse il suo potere per mettere a posto l’Eurozona secondo le linee che abbiamo sopra illustrato, sciuperebbe l’esorbitante potere del cancelliere tedesco (nell’ambito del Consiglio d’Europa) di imporre la politica al resto dell’Europa». Così, difficilmente lo userà nel suo terzo mandato, «col risultato che la perfettamente salvabile Eurozona si sta sgretolando attorno a noi, con costi umani immensi e a beneficio di delinquenti come Alba Dorata». Se l’Europa vuole davvero evitare la sua disgregazione, conclude Varoufakis, la Germania deve adottare un ruolo egemonico simile a quello giocato dagli Stati Uniti dopo la Seconda Guerra Mondiale. Se non lo farà, il terzo mandato della Merkel «passerà alla storia come un’opportunità tragicamente mancata».


Fonte: libreidee.org

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